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"[...] La Roma di Goya è il tema del contributo di Lorenza Mochi Onori, una delle massime conoscitrici dell'artista aragonese, che già lo celebrò nell'imprescindibile saggio per la mostra romana del 2000 a Palazzo Barberini. Goya, in Italia, prese a frequentare botteghe, antiquari e stamperie e - sull'usta dei pittori italiani magnificati in Spagna dal sovrano Carlo III - produsse e lasciò opere di significativo interesse anche ai soli fini documentaristici, arrivando persino a inscriverne una - sul crepuscolo del suo soggiorno e con il solo segreto intento di procacciarsi quell'anelata legittimazione di pittore, inseguita da tempo - al concorso indetto dall'Accademia di belle arti di Parma: pur non aggiudicandosi il riconoscimento massimo, Goya trasse dall'esperienza giudizi lusinghieri (si classificò al secondo posto dietro il pavese Paolo Borroni), che certamente gli torneranno utili, più tardi, al rientro in Spagna, per ottenere delle prestigiose committenze (Mengs, nel frattempo divenuto soprintendente alle Belle Arti, lo chiamerà a Madrid per sperimentare una scuola iberica per la manifattura di arazzi) e soprattutto per accreditarsi nella ritrattistica di corte e del nobile entourage. È proprio a quell'agone parmense e al successivo e lucrosissimo periodo trascorso al cavalletto che potrebbero essere ascritti i due dipinti in rassegna e oggetto di specifici e interessanti approfondimenti condotti da Daniel J. Carrasco De Jaime, che segnano una certa riaccesa attenzione da parte delle istituzioni museali e del mercato collezionistico nei confronti di uno degli artisti più controversi e tormentati della Spagna del XIX secolo, congestionata dai rovesci politici e dalla "questione sociale" e fatalmente prossima alla débâcle dei valori e degli ideali." (dalla presentazione di Massimo Rossi Ruben)